Il percorso espositivo prosegue con la magia teatrale di Giorgio Strehler (Trieste 1921 – Lugano 1997) nella sala che custodisce l’omonimo Fondo, istituito grazie alla donazione congiunta di materiale bibliografico, archivistico e documentario da parte della moglie del grande regista triestino, l’attrice Andrea Jonasson, e di Mara Bugni, sua ultima compagna.
Negli scaffali è contenuta la biblioteca del Maestro con i suoi quattromila volumi: libri di letteratura di autori antichi e moderni, tutte le opere di Carlo Goldoni e Bertolt Brecht, libri di musica, d’arte e di teatro. Nella parte inferiore è conservato l’archivio personale, che documenta la meravigliosa avventura teatrale strehleriana sul palcoscenico del Piccolo Teatro di Milano e nei teatri del mondo intero. I documenti personali, gli allestimenti, gli appunti di regia, i copioni con le note autografe a pennarello o matita rossa e verde, le fotografie degli spettacoli, i bozzetti teatrali, la rassegna stampa sono contenuti in ben 148 cartolari d’archivio.
Il Faust
Un’impresa titanica fu la rielaborazione del Faust di Goethe, che andò in scena in due parti con il titolo di Faust, frammenti e di cui Strehler fu regista e al contempo attore. In quest’occasione più che mai Strehler portò alla luce i temi che riguardano l’uomo e le sue contraddizioni, la ricerca della sua identità, la sua grandezza e la sua meschinità.
L’infanzia triestina di Giorgio Strehler
Il nonno materno Olimpio Lovrich era suonatore di corno e impresario teatrale. La mamma Alberta, in arte Albertina Ferrari, era violinista di fama internazionale e spesso lontana da casa per l’attività concertistica. Entrambi erano nati a Zara. Il padre morì quando il piccolo Giorgio aveva solo tre anni. «Da bambino abitavo in una grande casa piena di donne: madre, nonna, cameriere e governanti. Tutte intorno a me. Un’infanzia felice, un’atmosfera ovattata, molto femminile, persino un po’ troppo complice. In casa ho sempre parlato tre lingue […] all’Europa, ci credevo già da bambino».
La nascita del Piccolo Teatro
Con Paolo Grassi, conosciuto alla fermata dell’autobus numero 6 a Milano, Giorgio Strehler fondò nel 1947 il Piccolo Teatro della Città di Milano, il più innovativo fenomeno teatrale italiano del secondo dopoguerra. Egli ne divenne regista stabile. Il Piccolo diventò ben presto l’esperimento vincente di teatro pubblico in Italia, come istituzione sostenuta dallo Stato e dagli enti locali in quanto servizio necessario al benessere dei cittadini. L’esperimento portò Sergio D’Osmo a rivolgersi a Strehler da Trieste in questi termini: «senti, Giorgio, io voglio fare il teatro stabile a Trieste». «Ma coss’te son mona?» fu la pronta spontanea risposta di Strehler. Nonostante la battuta iniziale, il Teatro Stabile cittadino nel 1954 iniziò la propria avventura.
Strehler e Goldoni, Strehler e Brecht
Il teatro di Goldoni ricorre insistentemente nella lunga vicenda registica di Strehler. Solo
dell’Arlecchino servitore di due padroni realizzò dieci edizioni. «Goldoni è stato una specie di fratello maggiore col quale ho parlato tante sere. Mi ha parlato degli uomini, delle loro pene, dei loro piccoli e grandi vizi, con una specie di malizia dolce e corrosiva al tempo stesso. Mi ha insegnato ad amare la vita del teatro e oltre il teatro. Non è lo spettacolo che ho amato di più: lo è diventato nel tempo. Mi ha seguito dal 1947. Poi ho seguito lui nel mondo. Nuova edizione dopo nuova edizione, sempre uguali e diverse.»
Un altro autore molto frequentato da Strehler, oltre a Shakespeare, Čechov, Pirandello, fu Bertolt Brecht. Il pubblico italiano conobbe il teatro brechtiano proprio attraverso le regie di Strehler, cui Brecht aveva affidato i diritti dei suoi testi per l’Italia. Milva fu la grande interprete del suo repertorio di canzoni.
Il teatro musicale
La passione e la competenza musicale che Strehler possedeva grazie alla sua formazione, gli consentirono altrettanta genialità anche nel teatro musicale. Ne è un esempio Die Zauberflöte (Il flauto magico) di Mozart, andato in scena a Salisburgo nel 1974, spettacolo controverso, che segnò la rottura di Strehler con quel Festival. L’utopia di Strehler di voler risolvere «la dicotomia tra regia e direzione musicale, tra scena e golfo mistico» era andata a cozzare contro Herbert von Karajan, che si trovava sul podio. Per le scene Strehler si era avvalso della collaborazione di Luciano Damiani con il quale condivideva il gusto per la perfezione del dettaglio, come nel caso dei “teli-palma” realizzati in tela dipinta, immersa in un bagno di plastica trasparente, con inserti di foglie vere.